Quando cominciai l’università mi imbattei in una materia che aveva l’ambizione di definirsi Educazione ai Media. Non ne capivo il senso. Perché educare ai media che da sempre avevano fatto parte della mia vita? Perché educarmi a qualcosa che avrei dovuto governare? I media, brutta bestia si sono rivelati poi. Solo più tardi ho capito il valore di quel corso, forse uno dei più sensati nel corso di laurea che ho frequentato. L’ho capito quando il rapporto tra le persone e i media è diventato più diretto.
Abbiamo recentemente assistito a molti casi in cui non essere educati ai media può fare male. Molto male. Adolescenti che hanno un rapporto morboso, quasi spasmodico, malato con i social network. Genitori che si oppongono. Vicende che finiscono in tragedia. Non vogliamo e non siamo in grado di giudicare perché non abbiamo neppure gli elementi per farlo. Possiamo però affermare con certezza che fare educazione ai media è importante.
Lo abbiamo visto anche recentemente con i tragici fatti di terrorismo: se da una parte i social network si sono rivelati preziosi, perché hanno permesso alle persone di interloquire con i propri parenti o amici a distanza e magari di comunicare di essere in una situazione di sicurezza, dall’altra hanno rappresentato la latrina in cui vomitare istintivamente, a caldo, ogni sentimento: odio, rancore, rabbia, ma anche buonismo e banalità hanno invaso i social.
Giorni fa mi sono permesso di fare questo post su facebook: “venerdì scorso (13 novembre, ndr), dopo i fatti di Parigi, accecato dalla rabbia scrissi un post. Non dicevo niente di offensivo, il pensiero poteva essere più o meno condivisibile. Ma qualche ora dopo, nel cuore di una notte in cui non era semplice dormire, mi dissi: “Riccardo, ma tu cosa ne sai di preciso? Cosa sai di politica internazionale? Quanto e come hai approfondito questi temi? Quante volte nel tuo lavoro ti arrabbi perché le persone parlano di determinati argomenti senza conoscere?”. Tolsi quel post. Decisi che era più saggio recitare un silenzioso Rosario per le vittime e per placare il mio animo ultras. E provare a fare uno sforzo di comprensione di una realtà così dolorosa, complessa e delicata da non poter essere trattata con superficialità neppure sui social network, quasi fossimo al bar. In questa settimana ho cercato di leggere editoriali o approfondimenti scritti da gente con i controcoglioni e di capire meglio, anche se ho avuto poco tempo. A tratti mi illudo di trovare una chiave di lettura, la soluzione al problema o almeno un pezzo di risposta (magari la esterno di getto a qualche amico che, se non mi conoscesse, mi prenderebbe per malato di mente), per poi ricredermi trenta secondi dopo quando mi imbatto in un punto di vista che, seppur diverso dal mio, ha un senso e una logica. Insomma, pur mantenendo la convinzione che sia importante elaborare un’opinione propria e schierarsi quando è il momento, di questa faccenda ho capito poco e niente, se non una cosa: lo sforzo di comprensione – in cui comunque mi aiutano le esperienze fatte all’Opera La Pira, in politica e anni di letture di giornali – sarà lungo e faticoso. Ecco, dal basso della mia ignoranza, vorrei darvi qualche consiglio da amico: non è obbligatorio scrivere per forza; se dovete scrivere cazzate o parlare di cose di cui non sapete, state zitti; se non siete esperti non avventuratevi in tesi, teoremi o ragionamenti in cui poi vi perdete; cogliete questa occasione per imparare qualcosa in più di storia, di politica, di cultura e di religione, magari utilizzando in modo intelligente anche i social network dove si possono trovare pagine e spazi di approfondimento interessanti; se proprio volete scrivere perché vi aiuta a non tenervi tutto dentro, condividete solo parole e pensieri che siano una mano tesa a qualcuno altrimenti lasciate perdere che in queste partite c’è bisogno di tutto, a partire dalla Politica, fuorché di tifosi; in ogni caso, se dovete scadere nell’odio ma anche nel buonismo ma anche nella banalità, chiudete facebook, prendete un libro o un giornale e leggete. Oppure, se l’ora è tarda e avete già perso abbastanza tempo qui, come nel mio caso, andate a letto… #notte”.
Appunto: i media vanno saputi usare. Dobbiamo educarci al loro utilizzo. I giornalisti lo sanno bene e hanno una responsabilità grande nell’esercitare la loro presenza su questi mezzi. Ma è giusto che tutti ne siano consapevoli e conseguenti nel manifestare il loro pensiero. Che deve essere sempre libero e senza censure. Ma che deve anche trovare corrispondenza con la responsabilità personale e il buon senso di appartenere a una comunità su cui ciò che si dice ha comunque un effetto.
L’UCSI Toscana (Unione Cattolica Stampa Italiana), con il suo presidente regionale Antonello Riccelli, ha recentemente rilanciato la proposta dell’ “ora di comunicazione” a scuola: educazione ai media, per tornare a un’espressione nota. E’ importante pensarci e rifletterci. Perché il mondo di tutti, grandi e piccini, passa ormai dai media: tradizionali o nuovi che siano. E dobbiamo attrezzarci per far sì che questi stessi media siano mezzi – e non fini – utili a costruire una società migliore, mezzi che aiutino le persone a comunicare con altre affinché ognuno possa dare il meglio di sé e non tirare fuori gli istinti peggiori senza controllo, senza ponderatezza e senza educazione. Educarci ai media, ma anche al dialogo e all’umanità, è il primo passo per utilizzare ogni mezzo con saggezza. La pace parte anche da qui.
Cittadini di Twitter è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.